Il petrolio è il re. Il re è nudo.
Chi
si batte per la crisi climatica: sciopera a scuola, manifesta nelle strade,
blocca l’estrazione di carbone, gas o petrolio, impedisce la costruzione di
oleodotti, non usa le plastiche, assume uno stile di vita per ridurre le
proprie emissioni, o semplicemente parla dell’emergenza climatica ogni
qualvolta ne ha l’opportunità, in buona sostanza, chiede alle compagnie di
combustibili fossili di rinunciare a 20 trilioni di dollari ( John Fullerton,
ex amministratore delegato di JP Morgan).
Una
cifra irreale.
Secondo
Carbon Tracker, un team di esperti finanziari, energetici e legali, se si vuole
mantenere la temperatura del nostro pianeta nel range tra 1,5° e 2° si dovranno
lasciare sottoterra 80% degli assets delle major fossili, ovvero 2230 miliardi di
CO2, ovvero queste ultime dovranno rinunciare a tre quarti del loro valore già
contabilizzato nel sistema finanziario.
Una
vera e propria espropriazione!
Secondo
il redattore di The Nation, Chris Hayes, una simile “rivoluzione” non ha
precedenti se non nella Guerra Civile Americana.
“Evitare
il disastro planetario significherà costringere le compagnie di combustibili
fossili a rinunciare ad almeno 10 trilioni di dollari in ricchezza.”
Il
sentimento di rabbia e paura che deve aver scosso gli Stati del Sud dopo
l’interdizione della schiavitù e la Proclamazione di Emancipazione di Abraham
Lincoln potrebbe essere lo stesso che avverte l’industria dei combustibili
fossili nei confronti di chi la minaccia di divieto di combustione di carbone,
gas e petrolio.
“Il
lavoro degli schiavi era il fondamento di un prospero sistema economico nel sud”.
Quando
il senatore degli Stati Uniti, James Henry Hammond, esclamò nel 1859: "Cotton is King!"
nessuno si alzò per contestare il punto.
“Nel
1805 c'erano poco più di un milione di schiavi per un valore di circa 300
milioni di $; cinquantacinque anni dopo c'erano quattro milioni di schiavi per un
valore vicino ai 3 miliardi di $. Negli 11 stati che alla fine formarono la
Confederazione, quattro persone su dieci erano schiave nel 1860 e queste
persone rappresentavano più della metà del lavoro agricolo in quegli stati.
Nelle
regioni del cotone l'importanza del lavoro degli schiavi era ancora maggiore.
Il valore del capitale investito negli schiavi equivaleva approssimativamente
al valore totale di tutti i terreni agricoli e fabbricati agricoli nel sud.
Sebbene il valore degli schiavi fluttuasse di anno in anno, non vi fu alcun
periodo prolungato durante il quale il valore degli schiavi posseduti negli
Stati Uniti non aumentò notevolmente.
Non
c'è da stupirsi che i meridionali - anche quelli che non possedevano schiavi -
considerassero qualsiasi tentativo del governo federale di limitare i diritti
dei proprietari di schiavi sulle loro proprietà come una minaccia
potenzialmente catastrofica per l'intero sistema economico.”
Allo
stesso modo non dovrebbe apparirci incomprensibile l’indifferenza o la vicinanza di nostri amici
alle posizioni di TOTAL, ENI, SHELL,…
L’energia
a buon mercato della schiavitù definiva lo stile di vita degli 11 Stati
Confederati tanto quanto il petrolio definisce quello dei nostri contemporanei
nella nostra civiltà globalizzata.
“In
troppi modi, i neri erano le risorse naturali sfruttate a scopo di lucro,
proprio come lo sono oggi i combustibili fossili. Peggio ancora: non si è mai fermato."
(Mary Annaïse Heglar)
Forse
il petrolio è più insidioso per quanto rende tollerabili le remore morali e le
ingiustizie di chi beneficia della sua energia.
Il
petrolio alimenta interamente il metabolismo della nostra civiltà: Oil is King.
Chi
lo può contestare?
“Questi
numeri chiariscono che per l'industria dei combustibili fossili, distruggere il
pianeta è il loro modello di business. È quello che fanno.”(Naomi Klein)
Questo
settore, e solo questo settore, detiene la forza geologica di cambiare la
fisica e la chimica del nostro pianeta e stanno pianificando di usarlo.
Ma
adesso che abbiamo un quadro della sfida che affronteremo, per un urgente
cambio di paradigma, quale ne sarà il costo?
Affronteremo
una guerra totale tra gli stati che possiedono le risorse fossili contro chi
possiederà solo il sole e il vento?
Dovranno
cambiare i nostri Governi per poter affrontare questo cambio di paradigma?
Quali
contraccolpi subiranno i nostri scambi
commerciali, le produzioni e distribuzione di cibo nelle nostre comunità in
questo scenario?
Sarà
un “Cigno Nero” a modificare i nostri stili di vita o riusciremo a pianificare
una via d’uscita?
Il
sottotitolo di questo blog fa sua una frase di Clarissa Pinkola Estés:
“Il
nostro compito non è sistemare il mondo tutto in una volta sola, ma di riparare
la parte del mondo che si trova alla nostra portata.”
Quanti
di voi, nella nostra comunità, e in ciascuna comunità, vogliono provare a
costruire una via d’uscita?
Saverio Castoro
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